Appunti di Viaggio
Il parco regionale del Sirente Velino ci accoglie, uscendo dall’autostrada A25. Non c’è da sorprendersi se sulle vette più alte si vede neve quasi tutto l’anno, poiché sfiorano i 2500 metri slm.
Pescina nasce in quella che ad oggi è la piana del Fucino, o piana di Avezzano.
Non ci vuole molta fantasia per capire da dove deriva il nome di questo paese: Pescina viene infatti dal latino Piscus, ovvero pescatore. Ok, troviamo il fiume Giovenco che la attraversa, ma… è un po’ piccolo. Allora perché questo nome?
Secoli fa Pescina sorgeva sulle sponde del lago del Fucino. Questo fu prosciugato con opere ingegneristiche da fantascienza dai romani, collegandolo attraverso sistemi di canali e cunicoli scavati nelle montagne con precise pendenze, al vicino fiume Liri.
Pescina si ritrovò così a sovrastare questa enorme pianura, posta a 660 metri slm, che la allontanò dalle sue origini ancestrali.
Il 1915 è l’annus horribilis di Pescina: un terremoto disastroso (11′ della scala Mercalli, 7′ della Richter) spazza via 4000 vite (su 6000 abitanti), oltre a radere al suolo l’intero paese. Quasi tutta la marsica ne risente, ma questo paese in particolare: la diocesi viene spostata ad Avezzano, così come la maggior parte delle attività commerciali. Per comprendere il disastro, basti pensare che ad oggi la popolazione non raggiunge le 5000 unità.
Il Castello Piccolomini, nella parte superiore del vecchio abitato, è in fase di restauro. Ma già nel 13° secolo venne bruciato dall’imperatore, per via dello schierarsi della popolazione a favore del Papa.
Incontriamo una signora che, incuriosita dalla nostra visita, inusuale da queste parti, decide di raccontarci un po’ di particolari della storia di Pescina.
Prima del terremoto, il Castello, o Rocca Vecchia, era circondato dalle case degli abitanti, per la maggior parte pastori. Oggi invece sembra un elemento a se, distaccato dal resto dell’abitato. Impressiona molto vedere qualche muro ancora in piedi, colorato con l’intonaco degli anni ’60, quando si cercò di ripopolare il vecchio paese.
In seguito, così come successo a Matera, lo Stato italiano decise lo sfollamento degli edifici pericolanti, costruendo nel contempo nuovi quartieri abitativi, riconoscibili per i vicoli stretti e ortogonali e le case basse e tutte uguali.
Seppur nato da queste parti, il Cardinale Mazzarino non viene ricordato con molta simpatia. Questo perché, dopo essere diventato primo ministro di Francia sotto il regno di Luigi XIV, non si proclamò mai pescinese, bensì romano. Nonostante questo, gli è stato dedicato un museo nella ricostruzione della casa natale.
C’è invece un altro personaggio del ‘900, scrittore neorealista di fama mondiale, che viene onorato con un museo che ne porta il nome: Ignazio Silone. Egli ambientò qui il suo romanzo più celebre, Fontamara, ed è qui che volle essere seppellito dopo la sua morte. Un sentiero conduce ad una tomba molto semplice, sotto la chiesa medievale di San Berardo: la sua volontà era proprio quella di riposare guardando per sempre i suoi luoghi natii.
La signora ci racconta che anche la piazza dove stavamo parlando non esisteva più un secolo fa. Il vecchio palazzo del Comune, il teatro San Francesco (che, a proposito, qui ha fondato un proprio monastero, come San Benedetto) e l’antistante chiesa Sant’Antonio da Padova (ex San Francesco) sono il frutto delle ricostruzioni avvenute molto lentamente nel corso del ‘900.
Molto imponente la Basilica di Santa Maria delle Grazie, che nonostante il terremoto e i bombardamenti del 1944 resiste con la sua facciata austera e corredata da un porticato che immette sui tre portali di ingresso. Il campanile scandisce il tempo e all’interno sono presenti le reliquie di San Berardo dei Marsi.
Al terminare del centro abitato moderno, la novecentesca chiesa di San Giuseppe ribadisce la modernità della ricostruzione e il razionalismo dell’ultimo secolo, con uno scheletro di pilastri in cemento armato. La facciata però è finemente curata, monocuspidata, con una vetrata centrale tripartita da colonnine, che proseguono anche nelle porzioni laterali.
Al prossimo racconto!
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